Villa Poiana
La villa è commissionata a Palladio dal vicentino Bonifacio Poiana, di famiglia fedelissima alla Repubblica di San Marco, che possedeva
sin dal Medioevo una giurisdizione di tipo feudale sui territori che portano il suo nome. Per altro, nell’area dove sorgerà la villa esisteva
già una corte quattrocentesca dominata da una torre, dove campeggia tuttora l’insegna familiare. Palladio probabilmente progetta la villa sul
finire degli anni ’40, il cantiere procede a rilento e in ogni caso i lavori sono terminati entro il 1563, quando è compiuta la decorazione
interna eseguita per mano dei pittori Bernardino India e Anselmo Canera e dello scultore Bartolomeo Ridolfi.
Sia nei Quattro Libri
sia nei disegni autografi palladiani conservati a Londra, la villa viene sempre trattata come parte di un globale progetto di riorganizzazione
e regolarizzazione dell’area attorno ad ampi cortili. Di tale progetto tuttavia è stata costruita solamente la lunga barchessa a sinistra
della villa, con capitelli dorici ma intercolumni tuscanici. Il complesso è completato nel Seicento, quando i discendenti di Bonifacio
adattano l’edificio al loro gusto e alle loro necessità, con l’addizione di un corpo edilizio sulla destra della villa che ne riprende le
modanature delle finestre.
Disposta lontana dalla strada, all’interno di una profonda corte, e fiancheggiata da giardini, la villa
si innalza su un basamento destinato agli ambienti di servizio. Il piano principale è dominato da una grande sala rettangolare voltata a
botte, ai cui lati si distribuiscono simmetricamente le sale minori, coperte con volte sempre diverse. Evidentemente la fonte dell’ispirazione
palladiana sono gli ambienti termali antichi, anche per gli alzati: il cornicione, che in facciata disegna una sorta di timpano interrotto
deriva dal recinto esterno delle terme di Diocleziano a Roma, così come la serliana, che pure risente di sperimentazioni bramantesche nella
configurazione a doppia ghiera con cinque tondi.
Più in generale sembra che Palladio ricerchi la logica per così dire utilitaria
dell’architettura termale antica, con un linguaggio straordinariamente sintetizzato nelle forme e astratto, quasi metafisico. Privo di
capitelli e trabeazioni, l’ordine è appena accennato nell’articolazione essenziale delle basi dei pilastri. L’assenza di ordini e di parti in
pietra lavorata (se non nei portali della loggia) deve avere assicurato una globale economicità nella realizzazione dell’opera, confermata
dall’uso del mattone intonacato e del cotto sagomato, sul quale il recente restauro ha trovato traccia di policromie.
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