Villa Saraceno
Sul finire degli anni ’40 Andrea Palladio è chiamato da
Biagio Saraceno a intervenire a Finale di Agugliaro su una corte agricola preesistente, da tempo di proprietà della famiglia. È possibile che
il progetto prevedesse una ristrutturazione complessiva dell’insieme: nei Quattro Libri Palladio presenta l’edificio serrato fra due grandi
barchesse ad angolo retto. Sta di fatto che una risistemazione globale non fu mai effettuata e l’intervento palladiano è circoscritto al corpo
padronale: sul lato destro della corte gli edifici sono ancora quattrocenteschi, mentre la barchessa viene costruita all’inizio
dell’Ottocento.
In ogni caso, il corpo della villa è uno degli esiti più felici fra le realizzazioni palladiane degli anni ’40. Di
straordinaria semplicità, quasi ascetico, l’edificio è un puro volume costruito in mattoni e intonaco, dove ogni elemento decorativo è bandito
e il raro impiego di pietra lavorata è limitato agli elementi architettonici più significativi (come finestre e portoni) e alle parti
strutturali. È solamente il disegno dell’architettura a infondere magnificenza all’edificio, a dispetto delle dimensioni ridotte, derivando i
propri elementi dal tempio romano antico: il piano nobile è sollevato da terra e poggia su un podio, dove trovano spazio le cantine; la loggia
in facciata è coronata da un timpano triangolare. Piccole finestre illuminano le soffitte, dove veniva conservato il grano.
Anche
in pianta la villa è di una semplicità disarmante: due ambienti minori destinati ad accogliere le scale determinano la forma a "T" della sala,
ai cui lati sono disposte due coppie di stanze legate da rapporti proporzionali.
La datazione dell’inizio dei lavori va collocata
nel periodo di tempo che intercorre tra due stime fiscali: nella prima, del 1546, è ancora citato l’edificio dominicale preesistente, mentre
nella seconda, datata 1555, è descritta la nuova villa palladiana. È possibile che la costruzione risalga al 1548, quando Biagio Saraceno
acquisisce un’importante carica politica in città. In ogni caso è solo trent’anni più tardi che Pietro Saraceno, figlio di Biagio, realizza
gli intonaci interni e avvia l’apparato decorativo, forse dovuto al Brusasorzi.
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